Il collezionismo secondo me
Perché si colleziona? Per diletto, per fare un investimento a medio o a lungo termine, o forse, come disse acutamente Jean Baudrillard, per sfuggire alla morte. Nel Sistema degli oggetti infatti il sociologo francese dice chre chi colleziona mette in scena un tempo parallelo, quello della collezione, appunto, che corre di fianco alla vita vissuta. La collezione rappresenta un alter ego dell’esistenza del collezionista, che la può gestire come un’opera aperta senza fine, come fosse immortale. Ma cosa si colleziona? Ci sono moltissimi tipi di collezione. Ma tra le tante restringiamo il campo a tre o quattro tiplogie. Ci sono le collezioni estranee alla storia del collezionista, che possono riguardare un’insieme di opere d’arte, una serie di rare edizioni per bibliofili, delle auto d’epoca. In genere fanno riferimento a delle passioni e hanno anche un fine economico: sono collezioni che hanno anche l’obiettivo di generare un reddito. Poi ci sono quelle che si possono definire “collezioni sentimentali“.
Queste fanno riferimento alla storia del collezionista, che per un motivo o per l’altro cerca di recuperare gli oggetti (non esattamente quelli che aveva) legati alla propria vita. Perlopiù si tratta di giocattoli e fumetti posseduti nella propria infanzia e poi venduti o buttati via. In genere si cerca di ritrovare alcuni oggetti cardine del proprio tempo perduto: una certa action figure, un libro cui si era particolarmente affezionati, una certa macchinina, un disco.
Trovati quegli oggetti, può capitare che ci si accontenti e ci si fermi lì. Ma può anche succedere che si cerchi di ricostituire tutto il patrimonio di oggetti della propria giovinezza, ricostituendo un’epoca personale ormai lontana. Nel mio romanzo Caleidoscopio ho immaginato che un antiquario ricostruisse interi ambienti della propria vita. Un’altra possibilità prevede che alcuni elementi di una collezione ricostituita vengano integrati con oggetti nuovi, che non si possedevano allora. Magari da piccolo qualcuno aveva un certo numero di GI Joe, che ha ricomprato a peso d’oro anni dopo, e integra la nuova collezione con pezzi che non aveva. Per quanto mi riguarda, nelle mie collezioni raramente punto a completare una serie, cerco le cose che mi interessano di più. Che cosa colleziono? Tutto ciò che riguasrda i grand hotel nel cinema e nella letteratura, manifesti dei film di 007, action figure, soldatini Airfix e manifesti legati all’attività artistica di Anton Giulio Majano. Gli oggetti del desiderio? I Paper Plane, gli aerei di carta degli anni ’70, e gli Action Transfers.
Ci sono poi collezioni immateriali che hanno un indiscusso valore. Per esempio le collezioni di luoghi, instagrammati come trofei dai turisti che viaggiano anche per arricchire il proprio carnet. Oppure c’è il collezionismo di cataloghi, dove si sostituisce all’oggetto la sua raffigurazione, considerando comunque il catalogo stesso come oggetto da collezione. E’ un collezionismo immateriale anche la visione di un certo numero di film, per esempio tutto il cinema horror italiano degli anni ’60 e ’70, a prescindere che si possiedano o meno i dvd. Oppure si colleziona la visione di tutte le partite di una squadra di calcio in un determinato periodo. Anche qui può essere rilevante avere delle testimonianze della propria presenza allo stadio o davanti alla tv. Un altro genere di collezioni immagteriali riguarda i mondi virtuali, ricchi di oggetti effimeri: a questo proposito, anni fa scrissi un Manifesto per la conservazione del patrimonio architettonico virtuale. Di collezioni, materiali e immateriali, ho parlato ampiamente in Rinascimento virtuale e in Architettura ludica. Ho anche scritto un romanzo che si chiama Il collezionista di respiri. Forse un giorno racconterò della passione di famiglia per il collezionismo: nonni, bisnonni, zii hanno coltivato questa passione, e mia madre ha una bella collezione lagata a Biancaneve. E poi ho avuto la fortuna di avere un direttore geniale, Ettore Mocchetti, storico direttore di AD, con cui ho fatto, insieme a Giuseppe Pini, art director di grande talento e amico di lunga data, viaggi ai mercatini di tutta Europa, da Temploux a Newark.
Le collezioni in ogni caso rappresentano una parte molto importante della nostra cultura materiale (ma anche immateriale) e sarebbe importante valorizzare ancor di più i collezionisti, figure determinanti nel tramandare la nostra storia. Il panorama dei collezionisti e delle collezioni è molto vasto ed è difficile farsi un quadro di questo mondo culturalmente molto importante. Tra gli esempi più significativi, gli incontri ideati da Manuel Paulo Spaldi nella reubrica “I collezionisti anonimi“ del canale 8-bit di Youtube. Ogni martedì da più di un anno si riunisce un gruppo di collezionisti che raccontano i propri oggetti e le proprie passioni. Personaggi fortemente competenti come gli esperti di Collezionisti anonimi fanno pensare all’idea del collezionista-curatore. Riporto di seguito un articolo che avevo pubblicato su Virtual Vernissage.
La nuova figura del collezionista curatore
Cos’è un museo virtuale? Più facile dire che cosa non è. Non è necessariamente uno spazio in 3D, e soprattutto non è necessariamente uno spazio in 3D che replica più o meno le fattezze del corrispettivo museo vero. Stesso discorso, ovviamente vale per le gallerie. Un museo virtuale può essere anche un insieme di contenuti multimediali, come si è visto nelle online viewing rooms create nella primavera 2020 quando non si sono potute tenere in presenza le grandi fiere internazionali. Ma un museo virtuale può essere anche una pagina a tema di Facebook, un sito web, la sezione degli assets di Unity o di Unreal, o anche il sito ArtStation.
A questo punto si tratta di definire alcuni parametri, che riguardano per esempio l’omogeneità della collezione e l’organizzazione della stessa. E la prima domanda che sorge spontanea è “può sussistere un museo senza curatore?“. Gran parte delle collezioni presenti nei social sono curate dagli stessi collezionisti, cosa abbastanza rara nella realtà, dove le mostre in genere sono firmate dai curatori o dai galleristi. Cosa significa questo? Significa soltanto che c’è un approccio differente, ma non inferiore qualitativamente. Sicuramente camiano le modalità con cui la collezione è organizzata, ma concetti come la rarità e l’esclusività sono rispettati. Il curatore classico in ogni suo progetto tende a mantenere una visione d’insieme, cercando di distribuire equamente le opere secondo i periodi di attività di un artista o di un movimento. Invece il curatore/collezionista tende a privilegiare quel che gli piace, puntando spesso sull’effetto wow e ragionando spesso sull’insolito, sulle variazioni sul tema. Per spiegare meglio il concetto, bisogna fare un passo indietro e dire che il curatore/collezionista che crea le proprie mostre virtuali nei social network ha a disposizione molto più materiale di quanto ne abbia il curatore classico
L’amministratore di un gruppo di collezionisti di soldatini Starlux degli anni ’60 ha come riferimenti decine di altri collezionisti che diventano a loro volta curatori aggiunti, e che propongono le loro rarità. Quindi inevitabilmente in certi canali si crea un effetto di diversificazione, in cui la collezione diventa collezione aumentata, frutto di tante collezioni. Le singole collezioni, poi, sono oggetto di vanto, e ogni curatore/collezionista aggiunto cerca di stupire con vetrine traboccanti di oggetti raccolti con pazienza nel corso degli anni. Questo tipo di collezione aumentata è soprattutto tipica di Facebook. Poi ci sono i “musei” presenti nelle pagine di Pinterest. Qui ci si sposta dal piano della collezione personale, alimentata da oggetti posseduti dai membri dei gruppi, a un’idea di museo immaginario, dove si sceglie un tema e si assemblano le immagini degli oggetti. A differenza di Facebook qui è quasi assente la parte di storia legata all’oggetto e alla collezione. In Facebook il collezionista si racconta, qui invece si mostra l’immagine nuda e cruda, in maniera più asettica.
Però c’è il vantaggio che si trovano musei ideali di ogni genere e soprattutto si possono rimodulare questi “musei” a proprio piacimento, partendo da una raccolta di “pin” e selezionando alcuni per dar vita a un’ulteriore collezione. Per cui la collezione di Pinterest è più dinamica rispetto a quelle di Facebook, soprattutto quelle dei gruppi chiusi. Su Pinterest in ogni caso non è sempre facile capire quale sia il tema conduttore di una collezione: infatti a volte si può trovare un’indicazione precisa, tipo “Lego vintage”, ma in altri casi si è indirizzati verso nomi criptici che dicono qualcosa soltanto a chi ha creato la collezione. Sempre in Pinterest c’è anche un’idea di “meta-collezione“. Se per esempio si cerca “Collector Rooms Ideas” si apre una pagina con decine di vetrinette di collezioni disparate cui viene attribuito anche un mero valore decorativo. La collezione viene in parte svuotata del proprio valore intrinseco di storia dell’oggetto e del collezionista stesso, e diventa l’equivalente di un mobile, o di una fila di libri finti.